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Trento, 13 maggio 2021
IL RUOLO DEI CRISTIANI NELLA “NUOVA SINISTRA”
di Marco Boato
per il volume di "Testimonianze" dedicato a
«Cattolici, sinistra, Pci: memoria e lezione di un dialogo alla prova».

Fra la metà degli anni ’60 e tutti gli anni ’70 del Novecento è stato particolarmente significativo il ruolo di una parte dei cristiani nei processi di radicale e anche tumultuosa trasformazione della situazione politica e sociale italiana. E questo ruolo ha riguardato il rapporto tanto con la “sinistra storica” (Pci, Psi e Psiup), quanto con la nascente “nuova sinistra”, nelle sue varie articolazioni, la quale poi ha concluso la sua parabola storica a cavallo tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Il riferimento ai “cristiani” comprende sia la ovviamente maggioritaria parte cattolica tra di loro, sia anche i valdesi e gli appartenenti ad altre chiese protestanti, pur fortemente minoritari dal punto di vista quantitativo, ma non meno significativi per il loro impegno nel rapporto tra fede e politica.

All’analisi del rapporto tra sinistra e questione cattolica sul piano nazionale avevo dedicato a suo tempo (insieme a mio fratello Sandro, che ne aveva affrontato la parte dedicata al Trentino) il libro Sinistra e questione cattolica (UCT, Trento, 1978). Ma ne avevo scritto anche, anni prima, in un articolo comparso sulla rivista Giovane critica (n. 37, estate 1973), poi ripubblicato nel mio libro Il ’68 è morto: viva il ’68 (Bertani, Verona, 1979) col titolo A proposito dell’itinerario della “sinistra cattolica”. E ancora in quegli anni avevo scritto un intervento nella rivista Rocca (n. 6, 15 marzo 1976), poi pubblicato nel volume I cattolici e la sinistra (Cittadella, Assisi, 1977) e ripreso infine, nello stesso mio primo libro sul ’68 già citato, col titolo Dall’anticomunismo alla lotta di classe.

Ovviamente la “nuova sinistra” non era ancora comparsa sulla scena politica italiana quando si sviluppò il dibattito tra cattolici e marxisti, che diede vita al famoso volume Il dialogo alla prova. Cattolici e comunisti italiani, pubblicato da Vallecchi a Firenze ancora nel lontano 1964, dopo l’enciclica Pacem in Terris di Giovanni XXIII e nel pieno del periodo conciliare del Vaticano II, ma anche dopo il famoso discorso di Palmiro Togliatti a Bergamo, il 20 marzo 1963, rivolto al dialogo con i cattolici.

Vorrei qui ricostruire in modo sintetico alcuni processi e movimenti successivi, che invece hanno riguardato proprio la fase storica di formazione delle nuove generazioni giovanili di matrice cristiana, protagoniste di quei percorsi politici e culturali che poi, per una parte di loro, hanno dato vita alla “nuova sinistra”.

Intesa universitaria. Nella seconda metà degli anni ’60, l’organizzazione di politica universitaria denominata “Intesa universitaria” – che nella sua originaria fase storica era l’emanazione nell’Università delle varie associazioni cattoliche (Fuci, Giac, Agesci, Congregazioni mariane, e altre) ed era ancora legata direttamente alla Democrazia cristiana – si era sempre più resa autonoma sul piano politico e culturale tanto dalla Dc quanto dalle gerarchie ecclesiastiche. Già nel 1964 l’Intesa aveva dato vita ad una giunta dell’Unuri (il parlamentino universitario a livello nazionale) insieme all’Ugi, associazione della sinistra che comprendeva anche i comunisti. Nuccio Fava, che la presiedeva come segretario dell’Intesa, ricordò molti anni dopo che questo accordo anche con i comunisti si diceva che “aveva fatto piangere Paolo VI” e comunque aveva provocato una sconfessione da parte della Fuci. Ma dal 1966-67 gran parte degli appartenenti all’Intesa nelle varie realtà universitarie (soprattutto del Centro-Nord, meno del Sud) avevano cominciato a prendere parte attiva al nascente Movimento studentesco, nelle lotte contro il “Piano Gui” (il Ddl n. 2314) e poi anche nelle mobilitazioni contro la guerra americana nel Vietnam. L’ultimo Congresso nazionale dell’Intesa, che si tenne a Bologna nel dicembre 1967, vide la vittoria dei rappresentanti di questi movimenti, con l’elezione a segretario di Silvano Bassetti, che era al tempo stesso uno dei leader dell’occupazione della facoltà di Architettura al Politecnico di Milano. Mario Capanna, Luciano Pero e Michelangelo Spada furono addirittura espulsi dall’Università Cattolica di Milano: Capanna divenne il leader del Movimento della Statale, Pero e Spada furono poi militanti di Lotta continua, come lo stesso Bassetti. E molti di quei militanti cattolici dell’Intesa, attraverso l’esperienza dei vari Movimenti studenteschi del 1968-69, confluirono infine nelle formazioni nascenti della “nuova sinistra”. Vorrei ricordare al riguardo la figura di Alexander Langer, il quale, dopo l’esperienza di Lotta continua, fu uno dei fondatori dei Verdi italiani (a lui ho dedicato il libro Alexander Langer. Costruttore di ponti, La Scuola-Morcelliana, Brescia, 2015).

Gruppi spontanei. Negli anni 1967-68-69 si formarono in Italia alcune centinaia di esperienze di base, prevalentemente di matrice cristiana (ma non solo), che diedero vita al movimento dei “gruppi spontanei”, in particolare sotto l’egida della rivista veneziana Questitalia, diretta da Wladimiro Dorigo. Alcuni tra i più conosciuti furono il “Circolo Maritain” di Rimini, “Persona e comunità” di Lucca, “Esprit” di Pescara, “Note e rassegne” di Modena, “Emmanuel Mounier” di Verona, oltre al gruppo attorno alla redazione milanese di Questitalia.

Il 25 febbraio 1968 quel movimento culminò in un convegno nazionale a Bologna sul tema: “Credenti e non credenti per una nuova sinistra”. E in quella occasione si costituì la “Assemblea dei gruppi di impegno politico-culturale per una nuova sinistra”. Il documento programmatico faceva riferimento alla “laicità”, al rifiuto dell’unità politica dei cattolici e anche ad una critica della sinistra storica, nella ricerca di una nuova sinistra, con riferimento alle rivendicazioni operaie e sindacali, al movimento studentesco e alle lotte popolari di base. “Si ritenne che lo spazio peculiare dei gruppi spontanei fosse quello del dissenso civile, della pratica sociale di base, dell’iniziativa dal basso”, come ha ricordato Ettore Rotelli nel saggio “I gruppi spontanei del ‘68” nel volume collettaneo I cristiani nella sinistra (Coines, Roma, 1976). La maggior parte (non tutti) dei militanti cristiani di quei gruppi, esauritasi quella esperienza, confluirono nei movimenti di contestazione e poi nelle varie formazioni della nuova sinistra, a cui si erano riferiti fin dall’inizio.

Contestazione ecclesiale e comunità di base. In quegli stessi anni, dopo la conclusione del Concilio ecumenico Vaticano II, si era sviluppato in Italia (ma non solo) il fenomeno che giornalisticamente fu definito del “dissenso cattolico” e della “contestazione ecclesiale”, in riferimento ai tentativi di “restaurazione aggiornata” che si erano verificati nel dopo-Concilio e alle tensioni nate proprio dalla mancata attuazione delle innovazioni conciliari.
Alla raccolta di gran parte dei documenti e delle esperienze che vennero prodotte in quegli anni ho dedicato il mio volume Contro la chiesa di classe (Marsilio, Padova, 1969), che raccoglieva tutti i principali “documenti della contestazione ecclesiale in Italia”. Nell’ampia introduzione a quel volume - anche con ampie citazioni del teologo Hans Küng, recentemente scomparso - cercai allora di spiegare i rapporti che si stavano manifestando tra la “contestazione ecclesiale” e la “contestazione politica”, di cui molti di quei cristiani erano protagonisti al tempo stesso, nell’ambito del cosiddetto “mondo cattolico”. E non casualmente ho ripubblicato quell’introduzione in appendice al mio secondo libro sul ’68, intitolato Il lungo ’68 in Italia e nel mondo (La Scuola-Morcelliana, Brescia, 2018), “per comprendere le motivazioni, il linguaggio e il ‘clima’ di quanto avveniva in quegli anni alla base del mondo cattolico e delle comunità ecclesiali, in diretta relazione con i movimenti del ‘68”. Non è del resto un caso che, in occasione del cinquantenario del ’68, siano stati pubblicati due volumi collettanei intitolati La rivoluzione del Concilio. La contestazione cattolica negli anni Sessanta e Settanta (a cura di Silvia Einaudi e Marta Margotti, Studium, Roma, 2017) e Cattolici del Sessantotto (a cura di Marta Margotti, Studium, Roma, 2019)
Anche in questo caso, come per i gruppi spontanei, molti dei cristiani (ovviamente non tutti) che avevano dato vita al “dissenso cattolico”, alla “contestazione ecclesiale” ed anche alle “comunità di base” si ritrovarono successivamente militanti delle formazioni della “nuova sinistra” che stavano nascendo in quel periodo storico, a cavallo tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70.

Cristiani per il socialismo. Questo movimento era nato per la prima volta nel Cile di Salvador Allende, nel 1970-71, e aveva subito avuto una forte estensione internazionale. In Italia si era formato pubblicamente subito dopo il golpe dell’11 settembre 1973, che aveva abbattuto Allende e la democrazia in Cile, anche se con una preparazione precedente.  Il primo Convegno nazionale dei Cristiani per il socialismo si tenne infatti a Bologna dal 21 al 23 settembre 1973, con la partecipazione di alcune migliaia di cristiani, appartenenti sia alla sinistra storica, al movimento delle ACLI, al sindacato CISL e alle comunità di base, sia alle formazioni ormai presenti da alcuni anni della nuova sinistra: Lotta continua, Avanguardia operaia, PdUP e Manifesto (per quest’ultimo, ricordo la figura di Lidia Menapace, recentemente scomparsa).

Come ha scritto Romano Paci, “per i cristiani militanti a sinistra, la riflessione sulla crisi che stava avanzando, sul riflusso in atto nel movimento operaio e sulle amare esperienze verificate nei gruppi e nelle organizzazioni cattoliche che – sotto la spinta delle lotte studentesche e operaie degli anni precedenti – avevano maturato una nuova dislocazione culturale e politica, poneva con forza l’esigenza di affrontare in termini diversi la ‘questione cattolica’ in Italia e il problema teorico e pratico del rapporto tra fede e politica, tra cristianesimo e marxismo, tra masse popolari cattoliche e movimento operaio” (in I cristiani nella sinistra, cit., pp. 226-7).

Nonostante il rischio di un equivoco integrista nella stessa denominazione (che da alcuni, anche da me stesso, è stato rilevato), secondo Romano Paci “Bologna rappresenta indubbiamente un fatto politico di rilievo: per la prima volta convergono in una stessa sede persone impegnate prevalentemente sul terreno del rinnovamento ecclesiale e credenti militanti in organizzazioni politiche e sociali; per la prima volta si confrontano in una stessa sede pubblica, sui temi della ‘questione cattolica’, esponenti rappresentativi dei partiti operai storici e delle formazioni della sinistra cosiddetta ‘extraparlamentare’”. E ancora: “Cristiani per il socialismo si configura come un movimento che segna l’incontro (giudicato necessario per realizzare una reciproca integrazione delle esperienze e un salto qualitativo del loro impegno) fra i cristiani che hanno maturato la scelta di classe vivendo in modo innovativo l’esperienza ecclesiale e quelli che vi sono pervenuti attraverso la militanza nelle lotte operaie, contadine e studentesche” (ibidem, p. 229).

Dopo la straordinaria partecipazione al referendum del 12-13 maggio 1974 sul divorzio, nel quale anche i Cristiani per il socialismo si impegnarono per il “No” alla abrogazione, vi furono molti altri convegni a livello regionale e locale, con una partecipazione crescente, e un secondo grande Convegno nazionale a Napoli dall’1 al 4 novembre 1974. Una prima Assemblea nazionale del movimento si tenne a Rimini dal 19 al 21 marzo 1976, seguita da un terzo Convegno nazionale che ebbe luogo a Roma dal 7 al 9 gennaio 1977, ed infine una seconda Assemblea nazionale che fu convocata a S. Severa (Roma) dal 28 al 29 maggio 1977.

Ma l’esperienza dei Cristiani per il socialismo andò poi esaurendosi, anche per le contraddizioni sempre più evidenti tra chi si riconosceva nella strategia del “compromesso storico” enunciata dal segretario del Pci, Enrico Berlinguer, e chi, come i cristiani esponenti della “nuova sinistra”, si riconoscevano in strategie alternative. Venne quindi meno l’unica sede collegiale in cui a lungo si erano confrontati, talora anche duramente, i cristiani appartenenti sia alla sinistra storica, sia alla nuova sinistra. Molti articoli in quegli anni sono comparsi su varie riviste – tra cui Testimonianze, Il Gallo, Il Tetto, Idoc Internazionale, Il Regno, e altre, compreso Il Ponte e L’Astrolabio – e un libro di Giulio Girardi è stato dedicato a Cristiani per il socialismo: perché? (Cittadella, Assisi, 1975), mentre gli atti dei due convegni di Bologna e di Napoli sono stati pubblicati rispettivamente da Sapere (Milano, 1974) e dal Centro di documentazione (Pistoia, 1975).

Per concludere, attraverso i diversi itinerari che ho ricordato, molti cristiani hanno partecipato alle esperienze della “nuova sinistra”, in un rapporto talora difficile, ma fecondo tra fede e impegno politico, sulla base della laicità delle scelte politiche e culturali, secondo una autentica ispirazione evangelica.

 

  Marco Boato

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